5 ergastoli agli ufficiali argentini
La decisione della II Corte di Assise della capitale. Il processo si è svolto in Italia perché alcune delle vittime avevano cittadinanza italianaROMA - Cinque ergastoli per cinque gerarchi militari argentini "per avere, agendo di concerto ed in concorso tra loro e con altre persone non identificate, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, cagionato la morte, dopo averne disposto od operato il sequestro, e dopo averli sottoposti a tortura, di Angelamaria Aieta e di Giovanni e Susanna Pegoraro. Con le aggravanti di aver commesso i fatti con premeditazione, ed adoperando sevizie ed agendo con crudeltà verso le persone". Questa la sentenza con cui la II Corte D'Assise di Roma ha chiuso oggi, nell'aula bunker di Rebibbia, il processo Esma. Non un processo alla Storia ma un processo per tre vittime della Storia.
Il tribunale ha condannato i capi del centro di detenzione clandestina più grande del Paese, allestito nella Scuola meccanica della Marina: il capitano Jorge Eduardo Acosta, comandante del Servizio Informazioni e capo carismatico dell'Esma ("Escuela Superior de Mecanica de La Armada", la scuola superiore dell'esercito), Alfredo Astiz, comandante di uno dei gruppi di sequestratori e torturatori, il capitano Jorge Raúl Vildoza, comandante dell'Esma, il prefetto navale Héctor Febres, responsabile del destino dei bambini nati dalle prigioniere sequestrate in stato di gravidanza e il contrammiraglio Jorge Vañek, comandante delle operazioni navali. Contro di loro, i due figli di Angela Maria Aieta, la moglie di Giovanni Pegoraro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - che si è costituita parte civile nel processo - la Regione Calabria e la Provincia di Cosenza. E ieri sono arrivate in Argentina anche dichiarazioni di sostegno da parte di Massimo D'Alema e del sottosegretario Franco Danieli che hanno promesso l'impegno del governo per ottenere l'estradizione.
Angela Maria Aieta fu sequestrata nel '76 perché combatteva per i diritti umani e aveva anche la "colpa" di essere madre di Dante Gullo, leader della Gioventù peronista. I militari del Grupo de Tare fecero irruzione in casa sua e la portarono all'Esma. Dopo mesi di prigionia e torture fu gettata da un aereo nell'oceano, in uno dei voli della morte che resero tristemente famosi gli oscuri anni settanta. Un periodo protetto da muri istituzionali che hanno gettato ombre non ancora scomparse: appena tre mesi fa, in Argentina, è sparito un altro testimone chiave nei processi contro la dittatura. A conferma di quanto sia difficile ancora oggi parlare.
Susanna Pegoraro fu sequestrata in un bar di Buenos Aires. Era incinta e aveva 21 anni. Il padre, Giovanni, fu rapito solo perché aveva letto la targa della Ford Falcon che stava portando via la figlia. Dalle testimonianze di ex compagni di prigionia giunti a Roma, Giovanni Pegoraro fu ucciso poco tempo dopo il sequestro. Era uno di quelli che "non serviva". A Susanna, combattente contro la dittatura, fu concesso di vivere. Fino al parto. Dieci giorni dopo, la sua bambina fu presa dalla famiglia di un militare.
E' cresciuta senza sapere nulla del suo passato. La mamma di Susanna ha ritrovato la nipotina. Ma la giovane, ora ventinovenne ha deciso di non sottoporsi al test del Dna. E la Corte Suprema argentina le ha riconosciuto il diritto di non sapere. Nel corso del processo, testimonianza dopo testimonianza, è emerso anche il "rumoroso silenzio" dell'Italia e del Vaticano. Tanti sopravvissuti hanno chiesto al nostro Paese un aiuto che non è mai arrivato. Come il figlio maggiore di Angela Maria Aieta, che dopo essere riuscito ad arrivare, in modo rocambolesco, al Parlamento italiano è stato fatto sparire. O come le lettere dei vescovi argentini inviate a Roma. Si dovette aspettare il 29 settembre del '79 per sentire pronunciare, da papa Woityla, la parola desaparecidos.
Attraverso le parole dei sopravvissuti, tutti ex internati nel campo di concentramento, la Corte, udienza dopo udienza, è giunta a identificare il "Grupo de Tarea 3.3.2" articolato in tre settori: "intelligence", con il compito di estorcere con la tortura dichiarazioni ai prigionieri, "operativo" per eseguire i sequestri illegali e "logistico", per appropriarsi dei beni mobili ed immobili dei sequestrati. All'interno di questa organizzazione, il pm Francesco Caporale non ha potuto dimostrare il ruolo di Vanek nei tre omicidi, ma l'ergastolo è arrivato a sorpresa anche per lui, per l'evidenza dei reati commessi nell'Esma. La sentenza di oggi è l'ottava, in tutto il mondo. Ma le persone internate all'Esma furono più di cinquemila. Ne sono uscite solo trecento. Dal ritorno della democrazia, l'Argentina ha vissuto vent'anni di amnistie che hanno cancellato le condanne decise nell'85 e nell'86 dai magistrati del Paese. Da poco tempo sono state riaperte le udienze. I familiari delle vittime sperano che la sentenza di Roma, in questo particolare momento storico, possa avere risvolti oltreoceano, rimbalzando domani sulla stampa argentina. Così come è accaduto ieri con l'impegno dichiarato da Massimo D'Alema per l'estradizione. . "Oggi - ha commentato il sottosegretario agli esteri Franco Danieli - si è compiuto un atto di doverosa giustizia nei confronti dei 30 mila giovani uccisi e dei loro familiari. Un'affermazione del diritto che premia l'impegno delle Madres e delle Abuelas, ma anche quello del governo Kirchner e delle autorità argentine".
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